mercoledì, dicembre 26, 2007

Il business nel confessionale

Giorno di Natale, chiesa gremita. Il vecchio frate prende posto nello stanzino in fondo alla cappella per celebrare il sacramento della confessione. Di fronte all'ingresso si crea subito una lunga fila di fedeli. Quelli più esperti sanno che l'attesa sarà lunga: il religioso ha la parlantina facile e fa scorrere molte parole prima di impartire l'assoluzione.

Si fa infine il mio turno. L'uomo in saio mi domanda cosa faccio. Rispondo concludendo la lista con le visite guidate in programma nel prossimo anno: “Una sarà anche qui al santuario” aggiungo. Il rituale si rompe. Il frate alza lo sguardo e mi incalza per saperne di più. “Sai – mi dice – qui abbiamo cinquantamila visitatori all'anno. Mi interessano questi interventi”.

Il dialogo prosegue fino nei dettagli, quasi irrispettosamente verso la calca che intanto si accumula all'esterno. Domande su domande si susseguono, fino a quando il confessore capisce infine che ora di tornare al sacramento. “Comunque – mi dice – se qualcuno ti riferisse di aver sentito da me ciò che mi hai appena detto, vorrebbe dire che qualcun altro me ne ha parlato, perché come sai ciò che tu m i stai dicendo ora sarà destinato a rimanere tra le nostre anime. Insomma, se la contattassi, sarebbe perché altri mi avrebbero informato. Mi capisce?”.
“Padre – lo interrompo – la capisco benissimo. Però se desidera un recapito, credo di poterla soddisfare”.
“Certo mi aiuterebbe” risponde lui sotto voce.
Gli allungo allora il mio biglietto da visita, che lui ricambia annotando il numero dell'eremo: “Chieda del più anziano – mi dice – vedrà che capiranno”.

Chiedo perdono per questa fuga di notizie, ma come il frate disse: “Chi ha la penna a volte esagera, ma spesso solo per giusta passione”.

domenica, dicembre 16, 2007

Il caffè, il vigile e la multa

C’è un cliente in divisa ogni martedì mattina nel bar di viale Roma. Entra un attimo per ritemprarsi dal freddo della strada, posa il cappello e ordina un caffè. Le ragazze al banco servono il vigile con il sorriso sulle labbra, lo accolgono come uno di casa: insieme scherzano per qualche minuto. Poi cala un attimo di silenzio: l’ufficiale prende la penna, completa i cambi del verbale e, con lo stesso sorriso di prima, si rivolge alle ragazze al banco: “Sono 250€ anche questa settimana” dice loro.

Succede tutte le settimane. Il bar rimane aperto anche nel suo giorno di chiusura e il vigile passa per depositare il suo verbale. Martedì dopo martedì.

giovedì, dicembre 06, 2007

Continua l'epopea digitale di Pianbaruzzoli

Ulisse e GianbardoIl ritorno di Giambardo a Pianbaruzzoli, ovvero la ricongiunzione tra il fondatore e la sua comune autogestita nella valle dell'Acquacheta, risale ormai a più di un anno fa: era il novembre 2006. Tanto è passato dal giorno in cui l'uomo tornò alla sua vecchia casa per farne una fondazione e portare a termine il suo sogno di bene collettivo.

La leggenda attorno a quel luogo, però, continua a propagarsi. Il blog "Selvatici", infatti, dedica a sua volta un lungo post, o meglio una lunga citazione, alla storia degli Zappatori senza terra dell'Acquacheta. Il post porta una data recente: 12 ottobre 2007.

domenica, dicembre 02, 2007

Quando l’idea è più forte dell’indizio che la contraddice

I tre viandanti marciavano in direzione nord, costeggiando il torrente che scorreva più a valle sulla loro destra. Erano ormai nella parte finale dell’anello studiato più e più volte durante il mattino. Restava da affrontare solo l’ultima erta, che li avrebbe condotti al crinale e da lì, in pochi passi, al punto di partenza. Cartina alla mano, tra loro e la fine della salita, mancava solo un bivio: la strada a sinistra terminava su un rudere; la strada a destra, quella corretta, arrivava invece sulla sommità al complesso di casa con parrocchia attraversato dalla carrareccia.

Il rudere e il bivio sulla sinistra, però, non arrivarono mai. Forse in quella basse valle il contadino aveva rimosso la strada per arare un nuovo campo. L’errore di valutazione dei viandanti nacque da lì. Alzarono gli occhi alla cima della collina e si convinsero che il complesso sul crinale, termine ultimo della loro salita, fosse in realtà il rudere segnalato dalla cartina a mezza costa. Prima di raggiungerlo avrebbero dovuto quindi svoltare sulla destra. Iniziarono a cercare quella deviazione, tra boschi e pascoli, tra campi percorsi avanti e indietro. L’oscurità si avvicinava ma il loro vagare non trovava soluzione.

Seguirono allora la strada principale, quella meglio tenuta. Gli indizi a fianco della via avrebbero potuto segnalare al gruppo la loro corretta posizione, ma i tre erano convinti di essere altrove e quelle evidenze furono per loro inutili. I tre allora continuarono a marciare, certi che, tenendo la loro destra, avrebbero raggiunto prima o poi la meta. Tennero la destra una, due, tre volte, su bivi ignoti, disorientati da segnali che per loro non dovevano esistere.

Infine si imbatterono nel casolare raggiunto al mattino. Tutto d’improvviso fu chiaro. I ruderi ripresero il loro nome, i segnali ripresero la loro coerenza, la rotta seguita si materializzò sulla carta. I viandanti ritornarono sui loro passi e in breve ritornarono al punto di partenza.

Tuttora i tre sono incerti nel capire l’origine del loro errore. La stoltezza della valutazione dell’uno e la facilità con cui il suo errore si impose nella mente degli altri. Fu un piccolo delirio collettivo: una fede errata si radicò in loro così profondamente che il mondo da loro pensato prese il sopravvento sul mondo da loro attraversato. Ciò che vedevano non erano più ciò che esisteva ma ciò che per loro avrebbe dovuto essere. Nessun indizio contrastante bastò loro per testimoniare l’errore nella teoria di partenza.